Testo di Jacopo Zonca
Nel corso della storia del cinema, gli anni sessanta e settanta hanno sicuramente rappresentato un periodo estremamente importante e innovativo per tanti giovani registi.
Gli studiosi e i critici sono molto affezionati ai cineasti che hanno cominciato la loro splendente carriera in quegli anni e ancora oggi sono tra i più importanti autori contemporanei, pensiamo per esempio al leggendario Martin Scorsese e al grande Steven Spielberg, solo per citarne alcuni.
Sono stati anni in cui in tutto l’Occidente si sono sviluppate varie correnti cinematografiche: negli Stati Uniti la ”New Hollywood”, in Inghilterra il “Free cinema”, in Francia “La Nouvelle Vague” e in Germania il “Nuovo cinema tedesco”.
Proprio in quest’ultima avanguardia è nata la filmografia di Rainer Werner Fassbinder, un cineasta che ha saputo confrontarsi con il passato della Germania Nazista, indagarlo e prenderne completamente le distanze, intuendo quale sarebbe stato il futuro del suo paese e di tutto l’Occidente.

Rainer non era solo un regista cinematografico e teatrale, era anche scrittore, attore, montatore e direttore della fotografia. Un personaggio dal talento poliedrico che inizia non ancora ventenne a scrivere per il teatro e a girare i suoi primi cortometraggi. Dopo essere stato rifiutato più volte alla scuola di cinema di Monaco, decide, grazie al suo gruppo teatrale, di cominciare a fare i propri film senza imposizioni e senza restrizioni di budget.
Sono gli anni della sua formazione (fine anni ’60) al termine dei quali, Fassbinder acquista sempre più padronanza tecnica, stilistica e poetica, e a metà degli anni’ 70 la critica lo consacra come una delle voci più importanti della cinematografia tedesca.
Si contano circa quaranta opere tra film e serie tv, girate in appena tredici anni.
L’inguaribile pessimismo, il suo disagio esistenziale e il consumo spropositato di cocaina e psicofarmaci lo conducono alla morte, in solitudine, nel suo appartamento mentre è ancora alla macchina da scrivere, il 10 giugno 1982.
A trentotto anni di distanza, la potenza delle opere di Rainer Werner Fassbinder non ha perso un briciolo della sua forza espressiva. Nonostante la sua vita sregolata e il suo spirito tormentato, il grande cineasta tedesco è riuscito ad analizzare con grandissima lucidità e coraggio, la società e i meccanismi umani che regolano la stessa, attraverso giochi di potere, sfruttamento dei sentimenti, abissi sociali in cui la borghesia (dell’epoca e ancora oggi) mette le mani e le toglie quando non ha più interessi.
Fassbinder riesce ad unire intimismo e critica sociale fondendoli in un unico grido di ribellione e libertà che presto supera i confini della Germania e si diffonde in tutto il mondo.

Da sempre anarchico, dichiaratamente omosessuale, rifiuta ogni tipo di etichetta. Viene definito antisemita e omofobo, ma questo non impedisce a Rainer di continuare a sfornare un capolavoro dietro l’altro.
Molti registi di quegli anni hanno girato film importanti e bellissimi, ma quegli stessi film, visti adesso sembrano datati, contestualizzati solamente all’epoca in cui sono stati girati.
Le opere di Fassbinder invece sono attualissime, forse è per questo che alla loro uscita non sono state capite ma anzi fraintese e in alcuni casi, purtroppo, discriminate.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di riscoprire un artista che è riuscito a dare tanto, a consacrare la sua vita all’arte consegnandoci un testamento artistico importante e originalissimo.
In una filmografia così ampia è difficile orientarsi, di seguito vengono riportati alcuni titoli della prima metà degli anni settanta, il periodo d’oro della produzione fassbinderiana:
- Il mercante delle quattro stagioni
- Le lacrime amare di Petra Von Kant
- Martha
- Il diritto del più forte
- La paura mangia l’anima
- Il matrimonio di Maria Braun
Dopo questi, il regista continua a scrivere e girare senza sosta un film dietro l’altro; nell’ultimo periodo le opere più significative forse rimangono “Berlin Alexanderplatz” prima vera serie tv d’autore e infine, nel 1980, “Querelle de Brest” il suo film più visionario e controverso.
Il vero cuore della poetica di Fassbinder si trova però altrove.
Pellicole in cui si analizzano lo sfruttamento amoroso (Il diritto del più forte , Le lacrime amare di Petra Von Kant) il razzismo (La paura mangia l’anima) le dinamiche perverse che possono regolare un rapporto matrimoniale (Il matrimonio di Maria Braun, Martha) e l’incapacità di venire accettati nella società (Il mercante delle quattro stagioni). Sono ancora storie molto potenti, che possono aiutare a farci comprendere il clima sociale contemporaneo.

Fassbinder, nei suoi film era sempre dalla parte dei più deboli, anche se pare che nella vita fosse esattamente l’opposto, come è spiegato egregiamente nel bellissimo libro “Un giorno è un anno e una vita” la biografia più estesa che si possa trovare oggi, in cui quello che emerge è il ritratto di un uomo intelligentissimo e fragile, geniale, dolce ma tirannico, una persona capace di scatti d’ira devastanti e incontrollati, ma con un bisogno smisurato di affetto e di attenzioni.
“Perde sempre chi ama di più” dice Fassbinder in una delle interviste più famose. Una frase che rimane drammaticamente vera e attuale.
In un’epoca impazzita come questa, in cui ancora si esclude o si fa fatica ad accettare “il diverso” e in un momento in cui ancora non si riesce a mettere la persona prima di qualunque interesse politico o economico, le opere di Fassbinder possono rappresentare per tutti un faro nella notte.
I cinefili hanno atteso anni per poter avere i suoi film: ora tutti questi capolavori sono stati restaurati dalla “Ripley’s Home Video” e si possono trovare in bellissime edizioni dvd ricche di contenuti extra con interventi di critici italiani e stranieri.
Rainer Werner Fassbinder amava il cinema e la sua arte più di quanto amasse se stesso e infatti ha perso. Poteva ancora dare tanto, tantissimo, ma ha lasciato quanto basta per farci aprire gli occhi.
Ora sta a noi ricordarlo con affetto, parlarne, proporre ancora i suoi film e non dimenticarlo mai.
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